Il Museo Acerbo delle Ceramiche di Castelli è uno dei Musei Civici di Loreto Aprutino, situato nel centro storico del paese, subito sotto la via del Baio, vicino alla chiesa di San Pietro.
L’edificio che ospita il Museo era una dipendenza di Palazzo Acerbo, ristrutturata appositamente per ospitare la collezione di maioliche; arrivando da via del Baio si nota subito il suo prospetto, arricchito nell’ angolo da una elegante colonna esagonale, e da finestre chiuse da grate che si aprono per tutta la lunghezza dell’edificio.
Un intonaco policromo realizzato a cocciopesto riveste il primo corpo dell’edificio che prosegue dipinto in una calda tonalità di rosa.
Attraversato il portone d’ingresso, un piccolo disimpegno precede la porta delle sale espositive, nelle quali sono conservate le maioliche della Collezione del barone Giacomo Acerbo.
Il barone Giacomo Acerbo nella prima metà del 1900, esattamente nel 1936, viene scelto da Diego Aliprandi de Sterlich come acquirente della sua collezione di maioliche, in quanto ritenuto da questi la persona adatta per conservare e valorizzare tale patrimonio. Il Barone accresce così il nucleo delle ceramiche di famiglia e poco dopo ha modo di acquistare altre maioliche dalle collezioni dei Bonanni e dei Quartapelle. Sul mercato antiquario compie in seguito significative acquisizioni e, durante gli anni della sua attività politica, riceve numerosi regali. La collezione raggiunge così il numero di 570 pezzi e viene allestita in forma museale nel 1957.
L’allestimento della allora “Galleria delle Antiche Ceramiche Abruzzesi” fu affidata all’architetto Leonardo Palladini; le maioliche vennero così ordinate e divise secondo un criterio solo in parte cronologico, privilegiando piuttosto la corrispondenza di soggetti, forme e colori che si mescolassero fra loro per offrire una piacevole vista d’insieme. Secondo lo stesso criterio furono realizzati i particolari dell’arredo architettonico interno, i caminetti nella seconda e nella sesta sala e le mattonelle in maiolica a cornice dei pavimenti. Per dipingere le pareti fu scelto un colore nella tonalità del verde, così da mettere in maggiore risalto le maioliche; le vetrine furono pensate con grande linearità per valorizzare il contenuto.
La Galleria, alla sua apertura, ebbe come direttore Carlo Tereo, il quale curò la schedatura di tutti i materiali esposti e per molto tempo si dedicò ad accompagnare i visitatori nel museo. Negli anni successivi fu possibile visitare la Galleria solo sporadicamente e sempre su richiesta, fino a quando nel 2000 la Fondazione dei Musei Civici di Loreto Aprutino riaprì al pubblico il Museo Acerbo delle Ceramiche di Castelli.
La visita del Museo Acerbo richiederebbe svariate ore per una attenta osservazione dei pezzi: una successione ininterrotta di maioliche, lasciata nella medesima sistemazione fatta dal Palladini, che lascia il visitatore ammirato, quasi senza parole, perplesso su dove volgere prima lo sguardo per non perdere neanche uno dei capolavori esposti. Lo studioso che visita il Museo ha di che approfondire le sue ricerche, potendo analizzare direttamente il gran numero di pezzi che gli artisti castellani hanno prodotto dal XVI al XX secolo. I visitatori sono accompagnati nel Museo da guide competenti e gentili, che attraverso la descrizione dei pezzi riescono a far rivivere la storia della ceramica castellana, nei suoi aspetti soprattutto aulici, ma senza tralasciare la quotidianità che suggeriscono pezzi come i serviti della prima sala o lo schiacciapatate dell’ultima. In questo modo il visitatore acquista familiarità con i pezzi e supera quella barriera che la musealizzazione degli oggetti crea allontanandoli dall’uso per il quale sono stati prodotti.
Il pezzo più antico della collezione, il mattone maiolicato con la raffigurazione di un profilo femminile è esposto nell’angolo di una parete della prima sala. Il mattone, datato alla metà del XVI secolo, faceva parte dei mattoni del primo soffitto della chiesa di San Donato di Castelli e fu donato al barone Acerbo dal parroco Augusto Nicodemi, nel 1948.
Accanto al mattone sono esposti alcuni grandi piatti realizzati da Francesco Grue, databili al XVII secolo, decorati in istoriato castellano: scene riferibili ad episodi storici sono rappresentate con raffigurazioni elaborate, ricche di particolari, rese con più colori utilizzati in diverse sfumature. I temi presenti sui piatti del Museo fanno riferimento ad episodi derivati da una serie di incisioni, trasposte sulla maiolica con la tecnica dello spolvero; si possono riconoscere l’incontro tra Asdrubale e Massinissa, quello tra Ciro e Lisandro, ma anche l’episodio di Alessandro che copre il corpo senza vita di Dario. Tutte queste scene nella loro calligrafica esecuzione dei particolari delle figure umane e animali sono rappresentate in primo piano sul cavetto dei piatti, mentre sulle tese è dato largo spazio alla riproduzione di fregi di armi o di grottesche.
Allo stesso orizzonte cronologico appartengono gli albarelli decorati in stile compendiario, dove si riconoscono i rapidi tratti del pennello che incorniciano le figure centrali. A differenza dell’istoriato, i colori utilizzati sono generalmente il blu e il giallo, talvolta il verde, con i quali vengono create piccole cornici intorno a figure o simboli di ispirazione religiosa e vengono delimitati i cartigli che ne indicano il contenuto.
Nella prima sala si scoprono le mattonelle ex voto con raffigurazioni di Santi, come S. Zopito, patrono di Loreto Aprutino, S. Massimo, patrono di Penne, S. Emidio, protettore contro i terremoti, o della Madonna del Rosario in un’opera di Berardino Gentile, datata 1672. La devozione popolare viene anche letta nella raccolta di acquasantiere, piccoli oggetti dalle elaborate forme che gli artisti decoravano con eleganza a partire dal XVII secolo, perchè fossero presenti all’interno delle case o delle cappelle private. La storia della maiolica castellana prosegue con successo nel secolo XVIII: gli artisti decorano gli oggetti raffinando il tema dell’ornato a paese, inserendo nei paesaggi querce, montagne, edifici e rovine classiche; definiscono meglio i cinque colori fondamentali, giallo, verde, arancione, blu e manganese, che nelle loro sfumature arricchiscono il disegno dando profondità e leggerezza alle figure.
L’ornato a paese compare su serviti da tavola, da tea, da caffé, oltre che su tondi e mattonelle, ed è in questo ambito che si riconoscono alcune delle opere di Nicola Cappelletti, l’artista che, fra gli specialisti di questo tipo di decorazione, firma col sole le sue opere.
Nello stesso secolo gli artisti rielaborano anche i temi biblici e mitologici: compaiono scene come quelle dei vasi su piede con coperchio che fanno bella mostra nelle vetrine centrali della prima sala. Su questi vasi da parata sono rappresentate le immagini di Tritone, delle Nereidi, di Pan, di Galatea, ma anche episodi della vita di Cristo.
Durante la visita del Museo il discorso spazia dalla descrizione delle maioliche alla scelta dei criteri espositivi, non tralasciando notizie sugli artisti e spiegazioni sulle tecniche ceramiche. Appare così interessante soffermarsi sulla mattonella che raffigura l’episodio di Susanna e i Vecchioni, una piccola mattonella della seconda sala dove Liborio Grue applica la tecnica della lumeggiatura in oro.
Non si può comprendere appieno la grandezza della maiolica castellana senza prendere in considerazione un altro dei suoi maestri, Carmine Gentile, che firma nel 1742 un grande mattone con la raffigurazione di Bacco ed Arianna; ne decora un altro con Diana al bagno, sempre mostrando grande attenzione nella resa dei colori e dei volumi.
Siamo già nella terza sala del Museo, il tono delle opere esposte, sempre aulico, viene ribadito dalla mattonella che raffigura la Madonna con Bambino, opera raffinatissima della Bottega dei Grue, messa ancora più risalto dalla importante cornice dorata. Arriviamo nella quarta sala, al centro su una alta vetrina è esposto il pezzo di maggior pregio del Museo, sicuramente uno fra i più conosciuti: la vaschetta frigidaria istoriata con episodi della vita di re David. Elemento di un servito importante, realizzata nella bottega Grue intorno alla seconda metà del XVII secolo, presenta una successione di scene inframmezzate da cornici a motivi floreali, impreziosite dalla lumeggiatura in oro che ne ricopre gran parte delle superfici.
Nella stessa sala sono le mattonelle che rappresentano le Storie del Vecchio Testamento, i grandi albarelli realizzati da Francesco Antonio Grue, le fiasche da pellegrino di Nicola Grue e ancora di Francesco Antonio che firma anche la mattonella con la delicata raffigurazione della Madonna col Bambino e San Giovannino.
Entrando nella quinta sala lo sguardo incontra una vetrina diversa, al suo interno sono tazze, piattini e brocche che presentano un decoro stilisticamente lontano da quelli finora ammirati.
Le maioliche sono opera di Gesualdo Fuina, un artista castellano che opera fra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, introducendo nuovi modi di ornato riconoscibili soprattutto dall’utilizzo del colore rosso a terzo fuoco. I soggetti che predilige sono piccoli mazzi di fiori, farfalle, figurine isolate che spiccano sullo smalto bianco, realizzati su forme che ricordano da vicino gli originali in metallo. Bellissime le sue zuppiere con le prese dei coperchi in forma di frutti o di verdure, delicate le basi per i servizi da scrittoio. Contemporanee alle opere del Fuina sono le mattonelle esposte sulla parete sinistra della sala, attribuite alla bottega Gentili, nelle quali lo stesso cartone viene utilizzato per più spolveri secondo il gusto dell’artista.
L’ultima sala mostra grandi cornici all’interno delle quali sono mattonelle con medesimo soggetto: sulla parete di sinistra scene di caccia e sulla destra soggetti marini al centro e soggetti biblici ai lati. Fra le scene di caccia la mattonella di dimensioni più piccole è realizzata da Carlo Antonio Grue e raffigura un momento di caccia al cervo. Più volte replicato il soggetto della caccia all’orso realizzato nella bottega Gentili da artisti diversi. Nelle vetrine piatti, zuppiere e porta bottiglie riconoscibili come prodotti della bottega del Fuina. L’esposizione, infatti, arrivata all’ultima sala abbassa leggermente il tono dei pezzi, la scelta, seppure di grande gusto, mostra maioliche di uso più comune e di cronologia più recente. Nella vetrina di destra compaiono i portachicchera, piccoli piatti per le tazzine da caffé, con una larga tesa sulla quale poggiare biscotti e cucchiaino. Agli angoli della sala due colonnine in maiolica completano l’esposizione, decorate con amorini e scene campestri, sono databili tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.
La visita del Museo è terminata, la storia della maiolica di castelli è stata ripercorsa, ma varrebbe davvero la pena ricominciare dalla prima sala.