testo di Ivan Masciovecchio.
Era l’ospite speciale della seconda edizione di MEETinCUCINA – il congresso culinario made in Abruzzo organizzato dal giornalista Massimo Di Cintio in collaborazione con Andrea Di Felice, presidente dell’Unione Cuochi Abruzzesi, e Lorenzo Pace, già presidente dell’Associazione Cuochi Pescara – e lui, da buon mattatore, non ha deluso le aspettative.
Lui è Massimo Bottura, tristellato chef dell’Osteria Francescana di Modena, miglior ristorante d’Italia secondo il giudizio unanime di tutte le pubblicazioni di settore; la perfezione assoluta per la guida ai Ristoranti d’Italia dell’Espresso, che proprio quest’anno gli ha assegnato l’insuperabile punteggio di 20/20; il secondo ristorante del mondo stando alla classifica World’s 50 Best Restaurants redatta dalla rivista Restaurant Magazine. «Negli Stati Uniti tiene lezioni di creatività in aziende come Google e Nike. Per la cultura gastronomica italiana ha fatto più lui che gli otto ministri degli Esteri succedutisi nelle ultime legislature» ha dichiarato Gabriele Zanatta di Identità Golose, la kermesse milanese che ben undici anni fa avviò anche in Italia la stagione dei meeting gastronomici iniziata nei Paesi Baschi nel lontano 1999 con Lo Mejor de la Gastronomia.
Con il consueto carisma, alla vasta platea (oltre 600 accreditati) del Centro Espositivo della Camera di Commercio di Chieti composta principalmente da ragazzi delle scuole alberghiere ed addetti ai lavori, Bottura ha raccontato il suo pensiero lento accompagnato da gesti veloci, la sua idea di mondo, la sua visione del futuro, il suo rapporto con l’arte contemporanea, passione di vita – insieme alla musica ed alla cucina, ovviamente – nonché stimolo per le sue riflessioni culinarie e non.
Ha svelato gli ingredienti necessari per la ricetta perfetta, vale a dire consapevolezza, visione, intuizione. Ha esortato a credere sempre nei propri desideri (se lo puoi sognare, lo puoi realizzare) perché i treni passano sempre all’alba e partono puntuali; bisogna prendere e salirci sopra. Ha spiegato che non bisogna avere fretta di entrare nella cucina di un ristorante, per quello ci sarà sempre tempo. Al contrario, viaggiare, investire in cultura, studiare, contaminarsi, aprirsi al mondo, senza dimenticare chi siete e da dove venite.
Partendo proprio dai suoi numerosi spostamenti da un capo all’altro del globo, ha avviato la narrazione di uno dei suoi piatti clamorosi come La parte croccante di una lasagna, nato dalla consapevolezza della diffusione sulle tavole di mezzo mondo di un falso storico come lo spaghetto alla bolognese. «Ogni emiliano sa che lo spaghetto non può essere servito con la bolognese perché quando lo rolli la salsa cade giù ed allora bisogna fare un secondo passaggio nel piatto per portarla al palato. Riflettendo, quindi, abbiamo pensato di trasformare lo spaghetto in una tagliatella o, meglio, in una lasagna, che invece il ragù lo aggrappa. Non in una lasagna qualsiasi, però, ma solo nella sua parte migliore ovvero quella croccante. Per prima cosa abbiamo preparato uno spaghetto al pomodoro, uno in crema di parmigiano ed uno alle erbe. Abbiamo poi frullato le tre masse separatamente, disidratate, messe una sull’altra, tirate come una sfoglia e quindi tagliate. Dopo averla fritta, questa originale pasta tricolore è stata bruciacchiata col cannello, affumicata ed infine adagiata su una base di ragù bianco di carne tagliata al coltello unitamente ad una besciamella realizzata al sifone per renderla più leggera».
Il racconto del secondo piatto offerto alla già estasiata platea – l’altrettanto mitico Oops! Mi è caduta la crostatina al limone – ha preso spunto da un fatto realmente accaduto tempo fa ad un suo collaboratore giapponese al quale il godurioso dolce si era frantumato nel piatto prima di essere servito al cliente. «L’intuizione – ha continuato Bottura –. è l’inciampo felice; quando percorrendo una strada, improvvisamente ti trovi la prospettiva ribaltata. Non è né la consapevolezza, né una visione, ma un lampo nel buio. Intuizione significa afferrare quel lampo e metterlo in opera. Intuizione è quando vedi qualcosa che gli altri non vedono. Così quel giorno al mio collaboratore ho detto: ricostruiamo nel piatto in modo perfetto l’imperfetto. La morale di questa storia è che se nella vita non concediamo un po’ di spazio alla poesia, le nostre ossessioni ci distruggeranno; al contrario, abbandonandosi alla bellezza, sarà sempre possibile immaginare una crostatina al limone benché rotta».
Grazie anche alla presenza nella sua squadra dell’abruzzese di Bellante (TE) Davide Di Fabio, con lui ormai da undici anni (è arrivato che eravamo in cinque, ora siamo quarantatre), ha poi omaggiato la nostra regione con un piatto ideato per l’occasione, chiamandolo Osvaldo Bun in onore del padre di Davide. Una sorta di kebab all’abruzzese dove un piccolo pane della tradizione orientale (più coreana che giapponese) realizzato con farina, sciroppo al 30% di zucchero, latte, strutto, lievito madre alle amarene lievitato tre volte e poi cotto al vapore, viene farcito con la carne dell’arrosticino insieme ad una mostarda di mele campanine, un mix di ceci e zafferano fermentati a 30° per più di un mese, una crema che vagamente ricorda la salsa barbecue, pomodoro, aglio, peperoncino, polvere di peperoni affumicati, pickles di finocchio, erbe aromatiche ed olio extravergine d’oliva.
Non una rivisitazione del tradizionale spiedino di pecora, come pure è stato detto, ma un alt(r)o piatto nel quale la carne, cotta artigianalmente nella fornacella, da vera e propria pietanza diviene il semplice ingrediente di uno squisito street food gourmet, sopraffatta inevitabilmente dal pur gustoso mix di intingoli con cui è condita.
Insignito dall’Ordine dei Cavalieri dei Maccheroni alla Chitarra – con tanto di carraturo suonato sul palco – davanti all’appellativo di maestro ha regalato l’ultimo sorriso precisando che il maestro è solo Vissani. Prima dei saluti finali, esortando a guardare al nostro Paese in una chiave critica e non nostalgica, Bottura ha infine svelato il suo ultimo progetto che prevede la realizzazione tra Modena e Bologna di un’università dove far crescere e formare i casari, i contadini ed i cuochi di domani, perché il futuro è un gesto sociale.