Testo a cura di Maria Orlandi, foto di Giancarlo Malandra
Da violoncellista a direttore del Conservatorio “Luisa d’Annunzio” di Pescara. Massimo Magri da due anni si occupa di far entrare la musica nella vita della città
Massimo Magri, classe ’58, violoncellista e direttore del Conservatorio di musica di Pescara, ricorda con tenerezza il momento in cui il destino ha bussato alla sua porta: era un bimbo di 9 anni, fratello più piccolo di una sorella che studiava pianoforte con un’insegnante a casa. Quest’ultima aveva un figlio violoncellista che studiava in conservatorio e il docente di allora era in cerca di qualche bambino da avviare allo studio dello strumento. Un pomeriggio, mentre era in cortile a giocare a pallone, la madre lo chiamò e gli chiese se voleva studiare il violoncello. Quel bimbo in calzoncini corti non sapeva neanche cosa fosse il violoncello, ma era curioso di scoprirlo e così cominciò un lungo sodalizio con la musica.
Ci sono persone che trascorrono l’intera esistenza a cercare la propria strada e altre che ne percorrono una fino in fondo, arricchendola di esperienze, successi, traguardi. La storia di Massimo Magri è sicuramente una di quelle che racconta di come curiosità e volontà aiutino a tracciare un percorso lineare, destinato al successo.
Quali sono state le tappe principali della sua carriera?
Ho avuto la fortuna, come molti della mia generazione, di vivere una stagione favorevole, perché il lavoro non mancava e se avevi talento potevi veramente scegliere cosa fare.
Dopo la fine del percorso formativo in conservatorio, ho iniziato subito ad insegnare e a 22 anni ero già di ruolo in conservatorio. Fino ai 28-29 anni ho cercato di portare avanti anche il perfezionamento e ho così studiato al conservatorio di Schaffausen. In quegli stessi anni ho vinto il concorso al teatro dell’opera di Roma, ma ho scelto di rinunciare e di entrare ne “I solisti aquilani”, dove sono stato 20 anni suonando come solista un po’ dappertutto.
Poi, ho avuto la carica di vice direttore al conservatorio: devo dire che inizialmente la cosa non mi entusiasmava, perché non ero molto interessato alle norme scolastiche e mi è sempre piaciuta di più l’organizzazione artistica oltre che l’esecuzione, ma sono stati 5 anni molto interessanti e, quando ho dovuto scegliere se lasciare perdere tutto o candidarmi a direttore, ho seguito la seconda opzione e adesso sono da due anni sul ponte di comando.
Come è il rapporto con gli studenti?
È sempre stato un rapporto fantastico: da vice-direttore avevo la possibilità di occuparmi dei problemi quotidiani degli studenti e, anche se come direttore ora non posso farlo più molto, il rapporto con loro è rimasto ottimo e la porta della direzione è sempre aperta; anche il rapporto con i docenti è molto positivo: io interpreto questo mandato come una delega, una volta terminato torneremo ad essere semplicemente colleghi.
Come giudica l’attuale contesto musicale?
In una realtà come la nostra che, a differenza del mondo anglosassone e americano, si basa soprattutto sulla sovvenzione pubblica e in cui non c’è una cultura del mecenatismo, il nostro non può che essere un ambiente in sofferenza. È sicuramente un problema di mentalità, che però prima o poi dovrà cambiare.
D’altro canto sta vivendo una stagione importante la musica popular, che è entrata anche in conservatorio e Pescara e una delle 5 scuole in Italia che ha un corso di popular, e devo dire che in questi ultimi anni ha avuto uno sviluppo esponenziale con effetti positivi anche sulla produzione artistica.
La cosa che mi inorgoglisce di più di questi anni di direzione è che sono state annullate le distanze con la vita reale della città. Questo consente di cambiare la percezione che il conservatorio offre di sé e vorrei che si capisse che non sempre un percorso artistico didattico deve avere uno sbocco professionale: sono convinto che un medico diplomato per esempio in violino possa essere migliore di altri, perché la musica è una componente importante della formazione di una persona. Ogni genitore dovrebbe spingere i propri figli ad avvicinarsi alla musica, perché aiuta ad allargare gli orizzonti a prescindere dal fatto che possa diventare un lavoro o meno.