Nelle sale restaurate, accanto a diverse opere di pregio, la magnifica collezione dei dipinti di Teofilo Patini
La via del Leone è un piccolo gioiello in seno al paese. Prende il nome dalla rozza statua due-trecentesca raffigurante appunto un leone, simbolo araldico della famiglia lombarda De Petra, feudataria nel paese dal 1525 dopo che alcuni suoi cavalieri appartenenti all’ordine di Malta avevano combattuto in Terrasanta. Con le sue bifore rese leggiadre da colonnine tortili e capitelli finemente lavorati a sostegno degli archetti trilobati, il palazzo De Petra è un esempio unico in Abruzzo di architettura toscana del Quattrocento. Nelle sue sale restaurate, accanto a diverse opere di pregio si trova la magnifica collezione dei dipinti di Teofilo Patini, arricchita solo pochi mesi fa dall’arrivo di Bestie da Soma (1886), opera conclusiva nella trilogia composta inoltre da L’erede e Vanga e latte. Questi dipinti collocano il Patini come primo pittore sociale dell’Italia post-unitaria, e lo rendono uno dei grandi maestri del ‘900. “Bestie da soma (in foto) è un’opera di grandissimo valore pittorico oltre che storico. Patini era giunto a una sintesi, a una libertà di grafia pittorica che lo aveva portato da una scrupolosa analisi del vero, che qui traspare, al racconto di quel vero con un linguaggio libero. Un linguaggio che tiene conto in senso maturo e oggettivo di tutti gli studi fatti sui pittori dal ‘600 fino ai contemporanei; anche gli stranieri, che l’artista aveva potuto ammirare nei suoi viaggi all’estero: in Inghilterra, Francia, Germania”, spiega Cosimo Savastano, storico dell’arte e maggior esperto al mondo del pittore sangrino, sintetizzando il valore dell’opera. “Patini è stato garibaldino, e sergente della Guardia nazionale per la repressione del brigantaggio – aggiunge Savastano -. Dopo aver attivamente partecipato alla realizzazione dell’Unità d’Italia fu poi tra coloro che rimasero profondamente delusi dall’attuazione inadeguata dei principi in cui tanto credeva, tanto da dar vita al movimento conosciuto come Risorgimento tradito. Con i suoi dipinti sociali denuncia la condizione di povertà e arretratezza che l’Unità portò nei paesi dell’Appennino, dove venne distrutta l’economia locale e non si compresero le esigenze della popolazione, dando vita a quella ‘Questione meridionale’ che è tutt’ora aperta».