Saturnino Gatti, il giovane genio, nella chiesa del Santo Menna dall’identità misteriosa, a Lucoli, tra le cime d’Abruzzo dove echi lontani rievocano miti ancestrali e custodiscono opere di rara bellezza
testo di Alessandra Giancola, foto di Gino di Paolo
San Menna è il titolo di una piccola chiesa e dell’abitato che la circonda. Arrampicato lungo il crinale di montagne boscose, difficilmente si è portati a immaginare la ricchezza e l’importanza politica che questi luoghi da sempre hanno rivestito. Sono state terre ricche di scambi economici e culturali, poste lungo le uniche vie di transito verso la Marsica e verso il reatino, quindi il Lazio e l’Umbria. La storia, qui, si perde nella notte dei tempi. Il mistero avvolge l’identità del Santo, il cui nome ormai è quasi sconosciuto. Dal mito che sfida la storia emerge la figura di Menna “il grande”, ancora oggi uno dei santi più venerati in Egitto, dove nacque e dove fu forse seppellito, soldato romano prima, eremita poi e infine martire della cristianità. Sulla sua tomba il potere del divino si manifestava con miracoli continui tanto da essere meta di pellegrinaggi. Cosa può unire le vicissitudini del più importante santo d’Egitto con il piccolo territorio di Lucoli, tra i monti d’Abruzzo? Eremita e guaritore, ancora oggi accorda la sua protezione a pellegrini e mercanti. E in questo luogo il transito armentizio e il commercio legato alla lana fu da sempre alla base della sussistenza di queste popolazioni. Al misterioso eremita, dunque, è dedicata la chiesetta che compare citata per la prima volta nel 1215 in una bolla emanata da Papa Innocenzo III, come possedimento della più ricca e potente Abbazia di San Giovanni Battista di Collimento, il maggiore centro abitato della zona di Lucoli. Per giungere qua bisogna abbandonare la strada principale che, con impervie traiettorie, sembra cucire a uno a uno i piccoli centri. Dopo aver percorso qualche tornante, improvvisamente la strada si allarga e su un’altura vi è la chiesa, dominata da un anfiteatro di maestose montagne che in questa stagione sono coperte di neve. L’edificio ha una conformazione bizzarra che lascia intuire numerosi interventi e rifacimenti. La divisione interna, a due navate, non era contemplata in origine. L’antico accesso, oggi sottolineato con un portale dalle fattezze settecentesche, è decentrato, posto sulla destra, in modo coerente con il cantonale angolare che fu inglobato nel prospetto, a monito dell’originario perimetro dell’aula. Una grande nicchia, che porta le tracce dell’antica decorazione pittorica, orna la piccola facciata in candida pietra calcarea appena sbozzata. Con certezza si può affermare che il rifacimento dell’edificio e l’ampliamento della navata di sinistra potrebbe essere avvenuto prima del XV secolo, periodo a cui risalgono gli affreschi interni. Apparentemente povera nelle fattezze, questa piccola architettura custodisce uno degli affreschi più affascinanti del Rinascimento abruzzese. Quasi nascosta dalla colonna cilindrica che divide gli ambienti, una grande Crocifissione incanta il pellegrino che a vario titolo si trova a incrociare la sua esistenza con la storia di questi luoghi. La grandezza del pensiero rinascimentale, nella rappresentazione dell’idea di equilibrio misurato, tra l’armonia delle forme dell’uomo con quelle universali di Dio, trova piena realizzazione in quest’affresco dai colori straordinari e dalla notevole perizia plastica, tanto da richiamare gli esempi coevi della scuola umbro-toscana. La composizione è complessa, articolata: il Cristo, forte, nella resa dei volumi del corpo nudo, si impone al centro della scena. La Maddalena, aggrappata alla Croce e le Marie che sorreggono la Madonna sono in primo piano, avvolte in vesti dai voluminosi panneggi. L’emozione compare sui loro volti, tradotta in modo misurato ma coinvolgente. Sulla sinistra un gruppo di gendarmi, minuziosamente descritti nelle loro armature loricate, assiste alla scena: alle loro spalle cavalieri armati di alabarde delimitano l’orizzonte e la folla degli astanti. Ai volti bellissimi, ma quasi di genere, dei personaggi secondari si contrappone la drammaticità del gruppo centrale. L’opera ha una potenza espressiva e una capacità narrativa che incanta. I personaggi sono abbigliati secondo la moda quattrocentesca ed è, infatti, al 1486 che Lucia Arbace fa risalire l’affresco, quando, presso la bottega di Sebastiano di Cola da Casentino, il giovane Saturnino Gatti, già abile scultore, prendeva forse confidenza con l’arte del frescare. Alcuni tratti pittorici potrebbero essere i suoi, soprattutto nelle forme più movimentate e ricche di volumi. Proprio a pochi chilometri da San Menna, qualche anno dopo, affrescherà nella Chiesa di San Panfilo a Tornimparte opera che viene definita “la piccola Cappella Sistina d’Abruzzo”. La restituzio ne delle armonie che regolano il creato e il tentativo di avvicinarsi il più possibile a comprendere la grandezza del divino attraverso la bellezza delle forme fa di Saturnino un artista rinascimentale a tutto tondo. Il fascino tutto umano che traspare dalle sue opere è legato anche all’ispirazione dei luoghi a lui cari, che mai abbandonerà. Sebbene la critica è discorde nell’identificare la mano dell’artista in questo affresco, la straordinarietà della Crocifissione, nascosta in un luogo insospettabile dove tra le trame del tessuto architettonico è possibile rintracciare gli echi di lontane civiltà, è un’ulteriore prova della bellezza e della qualità dei talenti abruzzesi.