L’ulivo è il simbolo mediterraneo per eccellenza a cui si collegano suggestioni religiose, artistiche, spirituali e letterarie dal sapore antico. La storia, a partire da quella più remota di incerta tradizione che con il mito a volte si confonde, conferma l’importanza economica e sociale dell’ulivo e dei suoi prodotti per i paesi del Mediterraneo. Scoperte archeologiche avvenute nei fondali della Palestina fanno risalire la sua origine fino a 6.000 anni fa. Si pensa che provenga dall’Asia Minore, più precisamente dalla zona compresa tra il Caucaso, l’Altopiano iraniano e le coste siriano-palestinesi da dove si è diffuso nel corso dei millenni per tutto il bacino del Mediterraneo. Grazie ai Fenici, i grandi commercianti dell’antichità, la pregiata spremitura dei suoi frutti arriva nell’Egitto dei Faraoni e in Grecia dove conosce il massimo splendore. Nell’isola di Creta gli scavi hanno riportato alla luce grandi giare olearie nei depositi del Palazzo di Cnosso, un frantoio di pietra lavica a Santorini; i calendari ci informano sulle forniture mensili di olio destinato alle divinità; il palazzo minoico di Mallia rivela magazzini capaci di contenere 10.000 ettolitri di olio, scorta certamente enorme per la popolazione dell’epoca. Come a Creta e nelle altre isole egee, così in Mesopotamia, nella magnifica Babilonia, l’olivicoltura e l’olio d’oliva sono apprezzati e ricercati. Nel 2500 a.C. Hammurabi, re di Babilonia, faceva trascrivere su una stele di diorite, attualmente conservata al museo del Louvre di Parigi, il codice legislativo che regolava la produzione ed il commercio dell’olio d’oliva come bene di primaria importanza. In Egitto una prova inconfutabile della presenza e della sacralità dell’olivo nel XII secolo a.C. è un papiro con l’atto di donazione da parte del faraone Ramsete al dio Ra del prodotto di 2.750 ettari di oliveto piantato attorno alla città di Eliopoli: “Da queste piante si estrae l’olio purissimo per tenere accese le lampade del tuo santuario”. Rami d’ulivo sono scolpiti sui bassorilievi del tempio di Ramsete II a Ermopoli, risalente al XIII secolo a.C. La Bibbia ci informa dell’onnipresenza e dell’abbondanza dell’olio d’oliva in Israele, dove mortai e presse arcaiche rinvenuti a Haifa ci fanno pensare a una produzione che si data al quinto millennio a.C.; Gesù passa le sue ultime ore in preghiera nell’oliveto dei Getsemani, che è ancor oggi vegeto e visitabile, e vanta alcune delle piante d’ulivo più antiche del mondo. L’olio d’oliva veniva utilizzato nelle sacre iniziazioni, come combustibile per le lampade, per uso cosmetico e medicinale, nei massaggi per l’igiene e la pulizia della persona ma il suo posto d’onore era già per gli antichi la cucina, in ricette che si avvicinavano molto a quelle della nostra attuale “dieta mediterranea”. Sono i coloni greci e gli Etruschi a cospargere di olio le pietanze sulle tavole degli Italici. Lo testimoniano i leggendari trattati di Apicus, uno dei primi gastronomi della storia, che già nel I secolo dopo Cristo rese l’olio indispensabile nelle sue ricette per conservare, condire, cuocere. Molto apprezzato dai Romani che ne potenziano la coltivazione classificandone le piante e distinguendo ben cinque qualità per il commercio: oleum ex albis ulivis derivato dalla spremitura delle olive verdi, oleum viride prodotto da olive raccolte a uno stadio più avanzato di maturazione, oleum maturum estratto da olive mature, oleum caducum ottenuto da olive cadute a terra e oleum cibarium confezionato con olive quasi passite che era destinato all’alimentazione degli schiavi. Le opere che trattano l’agricoltura, da Catone ai Georgici, sono prodighi di consigli su come produrre l’olio. Nulla è lasciato al caso: dalle varietà più adatte alla potatura, al periodo ed ai sistemi di raccolta fino alle tecniche di frangitura. Grazie a terreni idonei e condizioni climatiche favorevoli i Romani diffondono l’olivo in tutti i territori conquistati, migliorano gli strumenti per la spremitura delle olive e le tecniche per conservare il prodotto. I popoli vinti devono fornire tributi in olio a Roma che ha organizzato le regioni meridionali in province olearie. L’olio veniva considerato un importante simbolo di ricchezza e usato come merce di scambio tanto da essere raffigurato sulle prime monete coniate a Crotone. In epoca imperiale l’olio ormai abbondava, aveva un prezzo accettabile e spesso veniva distribuito gratuitamente, come il pane, ai meno abbienti. I negotiatores oleari erano i soli commercianti abilitati a trattare “l’oro verde”, ed erano riuniti in collegi di importatori. Le contrattazioni delle varie partite avvenivano nell’Arca Olearia, che era una vera e propria borsa specializzata. Il crollo dell’Impero Romano segna la crisi della coltivazione dell’olivo, e l’olio torna ad essere nettare raro e prezioso, riservato quasi esclusivamente ad usi religiosi. Durante le invasioni barbariche e nel periodo dell’alto medioevo l’antica pianta sopravvive solo nei feudi fortificati ed intorno ai conventi grazie alla parsimonia ed alla laboriosa operosità dei monaci, compatibile con l’attesa e l’incertezza della coltura. Successivamente, la creazione delle fattorie consentono un rifiorire, soprattutto dal XII secolo in poi, delle colture e conseguentemente della produzione e dei consumi di olio. Nel 1100, gli oliveti riprendono a diffondersi e la Toscana, dove si concentravano antiche piantagioni, diviene un centro importante per la produzione di olio regolata da severe leggi che ne garantivano la qualità. Nell’Italia dei Comuni l’olio ritorna prepotentemente al centro dei mercati, grazie alle Repubbliche Marinare di Venezia e Genova che ne favoriscono il commercio di quantità sempre maggiori provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo. Ne consegue la straordinaria trasformazione dell’Italia, specialmente quella meridionale che vedrà aumentare considerevolmente impianti e produzione destinata ad un’importante esportazione. Dopo una crisi dovuta alle guerre del 1400, l’olio torna ad essere protagonista delle sfarzose tavole rinascimentali, e quello italiano comincia a distinguersi come il prodotto più pregiato. Le forti tasse imposte sulla produzione durante la dominazione spagnola intorno al 1600 ne causano una battuta di arresto, ma già il XVIII secolo, con la scomparsa del feudalesimo e dei relativi carichi, vedrà per l’olio d’oliva un mercato più libero che migliora i profitti consentendo un’ulteriore diffusione del prodotto italiano. Nell’800 lo Stato Pontificio incrementa l’estensione degli oliveti con premi in denaro. Nella decade tra il 1830 e il 1840, grazie ad una politica d’incentivi, nella sola Umbria, allora parte dello Stato della Chiesa, furono piantati circa quarantamila piante di olivo. Si trovavano allora in commercio vari tipi di olio: quello di provenienza orientale utilizzato soprattutto a scopi industriali, per esempio per lavare le lane, come lubrificante o per l’illuminazione, mentre il più raffinato olio italiano veniva richiesto a scopo alimentare. Successivamente, la rivoluzione industriale determina una riduzione dell’impiego del prodotto dovuta alla scoperta dell’illuminazione elettrica e dei lubrificanti minerali. Tuttavia, nonostante le alterne vicende politiche e sociali, la produzione olearia viene gelosamente mantenuta viva dalle classi contadine e sensibilmente legata ad attività di tradizione familiare.
L’olio sacro degli antichi
L’olio di oliva ha alimentato i lumi nei templi egizi del dio Ra, è stato considerato sacro agli Dei Fenici e Ittiti, ha consacrato altari e onorato le divinità di tutto il mondo ellenistico e romano. Dai frutti degli ulivi sacri ad Atena si estraeva l’olio assegnato in premio ai vincitori dei giochi panateniesi, incoronati con foglie di ulivo che ne manifestavano l’alto valore. Gli imperatori e i generali romani vittoriosi, nel momento del trionfo, si cingevano il capo con ramoscelli d’olivo, a significare il ristabilimento della Pax Romana. Come non pensare poi, a proposito di pace ritrovata e di speranza, al ramoscello di olivo che la colomba recò nel becco a Noè alla fine del diluvio? La Pasqua cristiana ha consacrato i rami di ulivo che da millenni simboleggiano la pace, l’onore, la vittoria. In tutto questo è racchiuso il significato delle sacre unzioni, del Crisma degli ebrei, poi di quello dei cristiani, i quali, nell’abolire fra i culti pagani quelli dedicati agli alberi, hanno conservato il significato simbolico e sacrale dell’ulivo e del suo olio. Perché? Non nacque forse, il primo olivo, da un seme caduto dal paradiso terrestre sulla tomba di Adamo, in cima al monte Tabor? L’olio è un dono di Dio dunque e, come il vino, è sempre stato qualcosa di più di un semplice frutto della terra. L’olio d’oliva ha consacrato re, sacerdoti e vescovi, unge i credenti, infonde loro forza, speranza e salvezza, scandendo la nascita, la morte ed i momenti più importanti della loro vita.