testo e foto di Ivan Masciovecchio.
Ogni festa è una bella storia da raccontare. Così c’è scritto su un cartello appeso tra le mille attrazioni custodite all’interno dello storico negozio che la famiglia Balduzzi avviò nel lontano 1830 a San Salvo, in provincia di Chieti, grazie ad un trisavolo ebanista trentino sceso giù in Abruzzo per acquistare del legname e mai più andato via.
La prof. Angiolina Balduzzi – che oggi ne prosegue l’attività insieme alla figlia Valina D’Alessandro – la incontriamo qui, immersa tra pezzi d’antiquariato e oggetti vintage, dopo una vita passata in giro per l’Italia ad insegnare filosofia nei licei. Ed a raccogliere con passione e sacrifici vecchi oggetti e strumenti ormai dimenticati, di quelli che nessuno vuole più, di quelli che le giovani generazioni non hanno mai visto né tantomeno conosciuto. Tanti, tantissimi, forse troppi, ma tutti capaci di creare un collegamento forte e diretto con un mondo ormai remoto, raccontandoci di noi e di ciò che siamo stati.
Una collezione cresciuta a dismisura nel corso di diversi decenni e che quasi inavvertitamente, pezzo dopo pezzo, complice anche una visita americana al Museo dell’Immigrazione di Ellis Island, ha dato origine ad uno straordinario museo spontaneo, allestito senza un euro di contributo pubblico nelle venti camere ricavate dall’unione di cinque piccole case comunicanti tra loro poste in pieno centro cittadino, poco lontano dal negozio; ambienti dall’architettura asimmetrica che ricordano più quelli affascinanti e polverosi delle soffitte di un tempo che gli anonimi open space dei musei moderni disegnati da qualche archistar in cerca di gloria. Una Giostra della Memoria dalla quale non si vorrebbe scendere mai, meravigliosa nel senso letterale del termine, scrigno prezioso di autentiche mirabilia e custode geloso dei propri tesori.
La visita non prevede un senso di marcia definito, ma solo un moto circolare uniforme e disorientante dove si gira e si ricorda, secondo le indicazioni di Angiolina. Diversi i percorsi in cui è possibile perdersi (la produzione e il lavoro, la casa e la donna, la famiglia e i riti, la scuola e i giochi), da affrontare in blocco (in questo caso bisogna mettere in conto un impegno di almeno un paio d’ore) oppure – meglio – singolarmente, lasciando il tempo alle emozioni di sedimentare comodamente nei nostri cuori.
Allacciate le cinture, eccoci dunque immersi anima e corpo nella stanza della medicina popolare – allestita con gli arredi originali di una farmacia di Scerni dei primi del ‘900 – tra vasi di vetro pieni di erbe aromatiche e piante naturali, come il timo (per recuperare il coraggio, per superare la tristezza e la malinconia), la liquirizia (contro la digestione difficile) oppure la lavanda (miracolosa per guarire reumatismi e gotta e per curare le piccole lesioni della bocca); dove si possono apprendere le pratiche della magia verde e bianca, come il malocchio e le fatture, che tanta suggestione creavano nell’immaginario collettivo dei nostri antenati; e dove grazie ad un oroscopo celtico si può scoprire in base al giorno di nascita quale albero influisce positivamente sulle nostre vite. Chi scrive, ad esempio, deve tutto al pioppo…
Tutt’altra atmosfera nella stanza della maestra, dove ad accoglierci c’è un Pinocchio di oltre cento anni, scomodamente adagiato su uno di quei banchi di scuola del secolo scorso che in un unico pezzo di legno comprendevano seduta, poggia piedi, scrittoio e ripiano per i libri. Tra foto di classe ingiallite sui muri, lavagne di ardesia e libri impolverati, è possibile leggere una pagella del 1929 con tanto di voti ai lavori donneschi e manuali e al rispetto all’igiene e pulizia della persona, come fascismo imponeva.
Attraverso scalini stretti e ripidi si arriva al secondo piano, dentro la stanza di Don Cirillo, il parroco che per oltre settant’anni ha rappresentato una vera e propria istituzione spirituale e culturale, alla quale anche i politici chiedevano spesso dei consigli; amico e sostenitore del museo di Angiolina che così l’ha voluto ricordare dedicandogli uno spazio tutto per lui, esponendo i suoi paramenti sacri, centinaia di ex voto, rosari e fotografie raffiguranti la processione di San Vitale, uno degli eventi storico-culturali e religiosi più attesi e sentiti della città.
Con la stanza del contadino si entra in tutt’altra dimensione, molto più pratica e terragna. Qui sono gli strumenti di lavoro e di fatica a fare bella mostra di sé lungo le pareti, ricordandoci che è nella madre terra che affondano le origini della nostra civiltà e che ad essa dovremmo tornare a guardare con più rispetto ed attenzione. Tini di legno utilizzati per la misura del grano (lu stuppell equivaleva a due chili e mezzo, la coppa a dieci, il mezzetto a venti, il tomolo a quaranta, la soma a centoventi), silos di canne intrecciate per conservare i cereali durante l’inverno, grembiulini usati nella raccolta delle olive, setacci e crivelli, aratri e gioghi di legno, bilance stadera di ferro, attrezzi da maniscalco, vanghe, zappe, paioli, conche; tutto racconta dell’antica sapienza di un tempo e delle condizioni in cui donne e uomini nostri antenati sono stati costretti a vivere, senza mai perdere comunque la propria dignità.
Non si fa in tempo a riprendersi da questo duro e commovente viaggio nel tempo che subito un nuovo stress emotivo ci investe non appena varchiamo la soglia della stanza delle ceramiche. Sono della zona di Palena e di Rapino, meno aristocratiche di quelle di Castelli, ma ugualmente splendide. Alcuni pezzi relativi a ceramiche della transumanza di Grottaglie, in provincia di Taranto, sono stati spostati nel vicino negozio in quanto lo spazio espositivo è stato spesso visitato, sì, ma dai ladri. Piatti, brocche e zuppiere, ordinatamente disposti su mensole, panche e tavole di legno, in un tripudio di colori e ricami pittorici, rendono questo ambiente uno dei più luminosi e meglio organizzati.
Come sulle montagne russe, il tour ci riporta nuovamente giù al primo piano dove ci attende la stanza della pubblicità – spesso visitata e fotografata anche dagli studenti della IULM di Roma – dove sono collocati migliaia di cimeli di bar e negozi di generi alimentari come scatolame di latta (dal tonno ai biscotti), insegne di gelati, vassoi, slogan pubblicitari, bicchieri, piatti, boccali di birra di ogni forma e dimensione; e dove il pezzo forte è rappresentato dalle bottiglie originali dei liquori Aurum e Cerasella di Fra’ Ginepro – il cherry brandy italiano, come recitava una pubblicità dell’epoca –, entrambe disegnate da Gabriele d’Annunzio e prodotte nella fabbrica di Pescara ai primi del ‘900.
La stanza della cucina, con la sua collezione di pentole e tijelle, scolapasta, caffettiere, macinini e ferri per le pizzelle (o ferratelle, o ne(v)ole che dir si voglia), si apre di passaggio prima di arrivare alle stanze della dote e della sposa. L’idea di collocare qui un antichissimo telaio dell’800, circondato dai rotoli di tela idealmente realizzati proprio con quello strumento, rappresenta senza dubbio una scelta vincente. Nelle scatole e nelle mensole tutte attorno, copriletto, lenzuola, federe, asciugamani, finte ricamate per abbellire i cuscini, coperte, grembiulini e vestiti da sposa – catalogati a seconda dell’anno di realizzazione – restituiscono una sensazione di purezza e di grazia che pacifica il cuore e che non ci abbandona fin dentro alla successiva stanza delle bambole, dove inevitabilmente si ritorna tutti un po’ bambini. Tra una mami africana, una copriteiera moscovita ed i modelli double face dei cartoni animati, svettano quelle con i vestiti svolazzanti tipicamente brasiliani provenienti dalla collezione privata del pilota Ayrton Senna.
Proseguendo nel saliscendi, un cartello appoggiato lungo le scale con la dedica per viaggiatori stanchi… ci segnala che la visita sta per giungere al termine. Nella sala studi che ci accoglie al piano superiore è possibile infatti riposarsi, leggendo qualcosa, scrivendo o semplicemente ricordando tutto ciò che i nostri occhi hanno visto ed apprezzato finora. Prima di salutarci però manca ancora la stanza della transumanza, l’unica autonoma, la più visitata e la prima in assoluto ad essere allestita. E’ riempita dagli oggetti della pastorizia, con l’indicazione dei tratturi – strade di un’intera civiltà – le bisacce rattoppate, i riferimenti alle aree di sosta, le fuscelle di vimini per i formaggi appese al soffitto. Allargando un po’ il raggio, sono riportati anche gli strumenti di lavoro del calzolaio, del falegname, insieme ad utensili da cucina come lu carrature, utilizzato per la realizzazione dei maccheroni alla chitarra.
Avrebbe bisogno di più sostegno e considerazione questa Giostra della Memoria messa in piedi con tanta passione e sacrificio (anche economico) dalla prof. Balduzzi. Eppure a parte i ladri e qualche studente forestiero che gli ha dedicato la propria tesi di laurea, non sono molti i concittadini particolarmente interessati a scoprire il tesoro nascosto dentro quelle mura. E’ la solita e triste storia di nemo propheta in patria che anche a queste latitudini si rinnova continuamente. Certo qualche scuola in visita guidata ogni tanto arriva, qualche turista curioso pure, ma sono episodi sporadici, niente che possa permettere davvero a questo luogo di spiccare il volo. Colpisce inoltre la totale assenza delle istituzioni che magari potrebbero supportarla in qualche modo, impegnandosi ad esempio per un’adeguata sistemazione degli spazi espositivi; e già questo potrebbe essere un buon inizio. Per quanto possibile, noi continueremo a farla girare ancora questa magica giostra, raccontandola ogni volta che ci sarà possibile. A voi con l’animo ancora da bambini, consigliamo di salirci almeno una volta; Angiolina è a San Salvo e sta aspettando proprio voi.
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